Uno schermo chiamato desiderio

Lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell'uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione.
~ Videodrome (1983)

Max Renn è il proprietario di una rete televisiva che trasmette materiale pornografico e violento - "ciò che la gente chiede" come lui stesso afferma in un'intervista. Tramite un collaboratore viene a conoscenza di una trasmissione pirata chiamata "Videodrome" che diffonde immagini di torture e violenze di vario genere. Con l'intento di farlo approdare sul suo canale, Max inizia a guardare Videodrome e ad indagare su chi possa celarsi dietro a tale produzione; verrà così coinvolto nella macchinazione di un complotto politico e incorrerà in pericolosi effetti collaterali provocati dalla visione della trasmissione pirata. Il filo rosso che collega "Videodrome" ad altri film di David Cronenberg quali "eXistenZ" e "Crimes of the future" è l'indagine sul rapporto dell'uomo, e in particolare del corpo umano, con la tecnologia qui rappresentata dallo schermo televisivo: la quotidianità con la quale viene utilizzato il mezzo tecnologico provocherebbe un'alterazione della percezione per cui quest'ultimo non viene più sentito come uno strumento inorganico ed esterno quanto, piuttosto, come una sorta di estensione del corpo, come un nuovo organo da inglobare. Il corpo è una zona di frontiera tra l'Io e il mondo, e nei film di Cronenberg diventa capace di mutare forma, di creare nuova carne e organi per adattarsi ai cambiamenti sociali e culturali. In Videodrome lo schermo televisivo è il nuovo, vero e unico occhio dell'uomo e ciò che mostra è più stimolante e interessante della realtà, sollecita e appaga i desideri delle persone inducendole a fuggire dalla realtà per rifugiarsi in esso. Il mondo virtuale composto da immagini e simulazioni inizia a sovrapporsi a quello reale fino a diventare indistinguibile da esso, diventando iperreale.

Morte a Videodrome, gloria e vita alla nuova carne

I. Iperrealtà e desiderio

Il termine iperrealtà indica precisamente l'incapacità di distinguere la realtà dalla sua simulazione; in "Simulacra and Simulation" il filosofo Jean Baudrillard ha definito l'iperreale come la "generazione tramite modelli di un reale senza origine o realtà": è un insieme di immagini e segni che ha rimpiazzato il significato e reso la nostra esperienza niente più che una simulazione, come accade a Max in Videodrome. Il concetto di iperreale si collega a quello di simulacro, ossia ciò che prende il posto del reale con la sua rappresentazione; secondo Baudrillard il simulacro è sempre vero e non imita né oscura la realtà, perché non esiste più alcuna realtà significativa a cui fare riferimento. Egli delinea quattro fasi storiche dell'immagine:

  1. L'immagine è il riflesso di una realtà profonda;
  2. L'immagine maschera e snatura una realtà profonda;
  3. L'immagine maschera l'assenza di una realtà profonda;
  4. L'immagine non è in relazione con alcuna realtà.

La quarta fase è puro simulacro ed è caratterizzata dallo scollegamento dell'immagine dal suo referente: la pretesa dell'immagine rimane quella di riferirsi al reale poiché si suppone che quest'ultimo la preceda causalmente; in verità nell'epoca postmoderna e tardo capitalista sono le immagini ad anticipare e modellare la realtà, andando a costituire il tessuto e la patina dell'iperreale. A tal riguardo Baudrillard cita il paradosso della mappa dell'impero narrato da Jorge Luis Borges in "Storia universale dell'infamia":

[...] In quell'Impero, l'arte della cartografia giunse a una tal perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una città, e la mappa dell'impero tutta una provincia. Col tempo, queste mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una mappa dell'Impero che aveva l’immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le generazioni seguenti, meno portate allo studio della cartografia, pensarono che questa mappa enorme era inutile e non senza empietà la abbandonarono all'inclemenze del Sole e degl'inverni. Nei deserti dell'ovest rimangono lacerate rovine della mappa, abitate da animali e mendichi; in tutto il paese non c’è altra reliquia delle discipline geografiche.

Secondo Baudrillard questa allegoria della simulazione e dell'astrazione è ormai superata e inadatta a descrivere il tempo presente: il concetto di rappresentazione che sottintende appartiene infatti a quello che egli definisce il secondo ordine dei simulacri, collegato alla Rivoluzione industriale, alla produzione in serie di perfette copie degli oggetti reali e al conseguente assottigliamento della distinzione tra rappresentazione e realtà. È un contesto in cui la copia si riferisce ancora all'originale, lo imita e riproduce tanto fedelmente da poterlo sostituire. Baudrillard sostiene che l'epoca postmoderna debba essere associata, piuttosto, al terzo ordine dei simulacri, nel quale è la realtà a imitare la rappresentazione diventando così insignificante. Tornando al racconto di Borges, secondo Baudrillard il territorio ormai non precede né tanto meno sopravvive alla mappa, ma è la mappa a generare il territorio e l'impero mentre quest'ultimo si è sgretolato, dissolto, e solo il deserto rimane.

Quattro stadi del simulacro meme

I concetti di simulacro e di iperrealtà possono essere impiegati per comprendere i meccanismi e gli strumenti di cui si avvale l'economia tardo capitalista per creare nuova domanda nel mercato. Rispetto ad una prima fase del capitalismo, infatti, il sistema economico attuale si caratterizza per una capacità produttiva che supera la domanda effettiva di beni e servizi; per questo motivo la logica della crescita continua impone la creazione di nuovi bisogni per il consumatore. L'iperrealtà è la dimensione perfetta per assolvere tale funzione poiché si compone di simboli che possono essere manipolati e combinati a piacimento dall'industria pubblicitaria e dagli esperti di marketing con il fine di generare il desiderio di un determinato prodotto. Nell'iperrealtà un bene di consumo non è mai soltanto tale, ma è sempre collegato ad altri prodotti, ad una particolare situazione e a specifiche sensazioni; potremmo dire che viene inserito in un sistema di valori in cui il soggetto può rispecchiarsi o di cui vuole appropriarsi. Il desiderio del prodotto passa in secondo piano rispetto al desiderio della vita che viene prospettata insieme al prodotto. Come sostiene Baudrillard in "Il sistema degli oggetti":

[...](il consumo) è la potenziale totalità di ogni oggetto e messaggio costituito in linguaggio più o meno coerente fin da ora. Il consumo, se mai ha un senso, è un'attività di manipolazione sistematica dei segni.

L'obiettivo ultimo della pubblicità non consiste più nel vendere un prodotto specifico, bensì nel creare un desiderio generico verso una tipologia di vita che proprio il sistema economico tardo capitalista ci preclude: una vita colma di momenti felici e spensierati da trascorrere con amici e parenti, passioni da coltivare e avventure da intraprendere; tutto ciò è reso inaccessibile dall'assottigliamento del tempo libero e dalla riconfigurazione di quest'ultimo in tempo da dedicare all'auto-potenziamento come conseguenza di un mercato del lavoro sempre più competitivo. È un desiderio che è destinato a rimanere insoddisfatto e che si accontenterà di ciò che il mercato ha da offrire, ossia falsi momenti di piacere e pienezza ottenuti con l'acquisto di un prodotto o servizio. Se l'iperrealtà, dunque, è lo spazio ideale in cui il desiderio può essere costruito e innestato perché essa ha un rapporto causale con la realtà, resta da capire come si concretizzi tale rapporto, ossia in che modo il consumatore arrivi a desiderare per se stesso ciò che vede, ad esempio, in televisione o nei social. Come avviene il passaggio dall'esposizione ad un simulacro al desiderio di ciò che tale simulacro rappresenta?

La teoria della formazione del desiderio e il concetto di Grande Altro di Jacques Lacan sono utili a comprendere come il desiderio del consumatore possa essere generato ma anche perché, in ultima istanza, questo sia destinato a rimanere insoddisfatto. Partendo dall'affermazione di Lacan per cui "il desiderio dell'uomo è il desiderio dell'altro" intuiamo che il desiderio implica sempre l'intersoggettività, viene costruito socialmente, nella relazione con l'altro; tuttavia tale espressione può significare sia che il desiderio dell'uomo consiste nell'essere desiderato dall'altro, ma anche che l'oggetto del suo desiderio coincide con l'oggetto del desiderio dell'altro. Consideriamo quest'ultima interpretazione e assumiamo che l'altro non sia necessariamente un individuo, un'entità concreta, ma che possa corrispondere al concetto formulato da Lacan di Grande Altro, ossia l'ordine simbolico, il luogo del linguaggio, delle leggi e della cultura che plasma la realtà e ne stabilisce le regole, influenzando così le azioni e la volontà del soggetto. Oggi l'ordine simbolico coincide con il capitalismo e con la cultura consumistica, che promuovono un'idea di piacere e felicità legata all'acquisto e al possesso di beni di consumo; il soggetto fa proprio, dunque, il desiderio del Grande Altro, ossia il desiderio del consumatore generico, veicolato in modo capillare dalla pubblicità e dai social media. Tuttavia il capitalismo necessita di un desiderio permanente, continuo, così il consumatore è destinato a non trovare un appagamento definitivo nell'acquisto trovandosi incastrato in un ciclo infinito di desiderio e insoddisfazione.

II. Desiderio e piacere

L'idea che il desiderio sia originato da una mancanza può essere fatta risalire fino a Platone e alla sua teoria dell'eros, che solo successivamente la tradizione cristiana ha ridotto alla connotazione di amore erotico contrapponendolo all'agape, ossia l'amore che intercorre tra l'uomo e Dio. La teoria è esposta principalmente nel "Simposio", dove Socrate racconta davanti ad un banchetto il mito di Eros e la concezione di Amore insegnatagli dalla sacerdotessa Diotima: Eros è un demone, egli dice, ossia un essere che si situa a metà strada tra l'uomo e il Dio, e che si distingue dal divino proprio perché quest'ultimo non ha bisogno di niente mentre Amore manca di bellezza e bontà, e le desidera. Eros è figlio di Poros, che in greco significa ricchezza ma anche espediente, e Penia, ossia povertà; egli è quindi allo stesso tempo "sudicio, scalzo, senza casa, sempre nudo per terra" e "coraggioso, caparbio, cacciatore terribile, sempre dietro a macchinare qualche insidia, desideroso di capire, scaltro". Nel dialogo platonico Eros è "amore di quelle cose di cui al presente egli manca", è tensione desiderante rivolta alla bellezza e, poiché le cose buone sono anche belle, alla bontà. Esso sarà dapprima indirizzato alla bellezza dei corpi fisici, poi a quella delle anime e infine giungerà ad astrarre il bello dalle sue singole manifestazioni e a contemplarlo in quanto idea; in questo modo Eros permette all'anima di elevarsi dal mondo sensibile a quello intellegibile. Tale ascesa graduale fino alla saggezza non sarebbe necessaria se l'anima dell'uomo non fosse stata separata dal mondo delle idee e rinchiusa in un corpo fisico; l'insoddisfazione e la mancanza della completezza originaria costituiscono dunque il motore dell'anima.

La caratterizzazione del desiderio come mancanza e del piacere inteso unicamente come gratificazione momentanea e non risolutiva, legata indissolubilmente alla tensione provocata dal desiderio viene problematizzata da Paolo Godani nel libro "Sul piacere che manca": a partire dall'analisi della concezione psicoanalitica del desiderio e del piacere in Freud e Lacan egli avanza la possibilità di recuperare una più antica e diversa teoria del piacere che permetta di distaccarsi dalla logica capitalista del desiderio e dell'insoddisfazione. Per quanto riguarda la teoria di Freud, ad esempio, Godani rileva la presenza di due tipologie di piacere: uno cinetico e uno statico. Il primo consiste in una gratificazione immediata ed è l'oggetto del principio di piacere, che governa l'inconscio e che è definibile come la tendenza naturale dell'uomo a fuggire il dolore e ricercare forti sensazioni di piacere; tale piacere è uno stato momentaneo, incerto, indotto dal bisogno e riducibile ad una scarica motoria che allenta la tensione e gratifica il desiderio. Il principio di piacere opera tramite processi psichici antichi e primari ed è dominante nella prime fasi dello sviluppo della vita psichica della persona. Nell'individuo adulto esso viene affiancato dal principio di realtà: un principio regolatore grazie al quale la gratificazione viene rimandata e i desideri controllati per adeguarsi alle norme e alle esigenze della società. In tal modo l'uomo accede ad un piacere di tipo diverso, statico e duraturo e che consiste principalmente nella garanzia della sicurezza, nel tenere lontani il dolore e i pericoli. Secondo l'analisi compiuta da Godani quest'ultima concezione del piacere rappresenta per Freud solo una caricatura della felicità, la quale coinciderebbe, piuttosto, con la soddisfazione immediata e senza limiti delle proprie pulsioni.

Rubens The Feast of Achelous

La tesi principale di Godani consiste nell'affermare che nell'epoca attuale l'unico modo per includere ancora il piacere nelle nostre vite è quello di ridefinire l'idea stessa di piacere, in modo che non venga identificato univocamente con la scarica che gratifica il desiderio. Come abbiamo visto, infatti, il capitalismo neoliberista opera come una macchina che produce e diffonde incessantemente desiderio per poi sottrarre all'individuo il tempo e l'energia necessari a soddisfarlo; al tempo stesso il piacere che si ricava dalla gratificazione è transitorio, contratto e smorzato dal rapido ingiungere di nuovi stimoli. In "E: La congiunzione" il filosofo Franco Berardi affronta il problema da una prospettiva ancora più specifica, ossia l'intromissione nel ciclo desiderio - piacere da parte non solo del sistema economico capitalista ma "dall'attuale configurazione della relazione tra linguaggio ed economia", da Berardi definita semiocapitalismo. Attualmente l'economia è basata sullo scambio e sulla ricombinazione di segni e informazioni, e tale processo di semiotizzazione della produzione dà origine a modificazioni nella sfera psichica e sociale; in particolar modo influisce negativamente sulla sensibilità, ossia la capacità di sentire l'altro come continuità del Sé che è alla base del processo empatico. L'intromissione dell'elemento elettronico, inorganico, nella vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali ha prodotto effetti patogeni come i disturbi dell'attenzione, ma anche iperattività e sovreccitazione perché l'attività cognitiva umana fatica ad adeguarsi alla velocità degli stimoli in arrivo. A tale velocità si affianca, dunque, una contrazione dei tempi di reazione che porta a rinviare il piacere all'infinito mentre la stimolazione accelera.

Un desiderio senza piacere caratterizza la condizione attuale secondo Berardi e Godani, i quali delineano una via di fuga recuperando la concezione di un piacere indipendente dal desiderio e dalla definizione di rilassamento di una tensione nervosa. La nozione di piacere a cui si fa riferimento risale alla tradizione epicurea, la quale operava una distinzione tra un piacere di tipo dinamico, corrispondente alla soddisfazione di un bisogno o mancanza, e uno costitutivo, che coincide con la vita stessa del corpo e dello spirito in una condizione di equilibrio; gli epicurei chiamavano quest'ultimo piacere catastematico. Tale piacere è statico, è una condizione permanente che consente solo qualche lieve alterazione dovuta all'insorgere dei bisogni e al loro soddisfacimento, il cui scopo è comunque quello di riportare la vita al suo equilibrio originario; consiste nel semplice impiego delle proprie facoltà umane, nel godimento del benessere corporeo, che si esprime tramite l'esercizio fisico, e di quello spirituale, che si concretizza nell'amicizia e nella filosofia. Il piacere catastematico non è generato da alcuna mancanza né desiderio, è slegato dalla logica delle finalità e degli obiettivi da raggiungere; per questo motivo è assimilabile alla vita oziosa, alla vita senza lavoro. Scrive Godani:

La vita di lavoro, come la vita dell'uomo di desiderio, è sempre utilizzata in vista del conseguimento di qualche scopo. L'aponia (l'assenza di fatica, non solo di dolore) che è tipica della vita oziosa sussume ogni finalità che può essere posta alla vita, rifiutando il proprio sacrificio in vista di qualcosa che non sia la vita stessa. Riconquistare, pur in presenza del desiderio, l'idiozia o la beatitudine del piacere puro vuol dire revocare le finalità del desiderio - non per cancellarle, ma per goderne come semplici variazioni sul tema del piacere.