Linguaggio, pensiero e tempo - "Arrival" e "1984"

Victor dell'Aveyron aveva circa 12 anni quando fu avvistato e catturato ai margini di una foresta nel sud della Francia, camminava in posizione eretta ma non parlava, indossava solo una maglietta stracciata e dal suo comportamento compresero subito che era vissuto per molti anni isolato nei boschi, senza contatti con la società. Era il 1800 e la notizia del ragazzo selvaggio si diffuse in tutta la Francia, suscitando l'interesse dei filosofi e degli studiosi del tempo. La sua condizione, assimilabile allo stato di natura, e il processo di reinserimento in società, infatti, offrivano l'occasione di studiare gli effetti e le influenze di quest'ultima sulla natura umana, sull'intelligenza e sulla moralità. Il ragazzo fu affidato al medico e pedagogista Jean Itard e, fin da subito, gli sforzi si concentrarono su quello che apparve essere lo scoglio maggiore, ossia l'impossibilità di comunicare verbalmente con il ragazzo, dato che non comprendeva nè si esprimeva in alcuna lingua. Nonostante i tentativi e le fiduciose aspettative, Victor non riuscì mai a parlare: imparò ad articolare qualche parola ma solo per riferirsi a cose che erano davanti ai suoi occhi e mai a qualcosa di assente o di astratto: al termine "libro", ad esempio, associava sempre un libro particolare, ossia quello che gli veniva mostrato, e non l'idea del libro. Oltre a ciò, gli sviluppi intellettivi e morali si mostrarono deludenti, tanto che l'opinione pubblica e la comunità scientifica si disinteressarono presto di lui.

L'esperienza con Victor è stata spesso portata a supporto di tutte quelle teorie che attribuiscono al linguaggio un'origine sociale, secondo le quali l'interazione e la socialità all'interno del proprio gruppo sono elementi fondamentali ed indispensabili fin dai primi mesi di vita affinchè si sviluppi non solo il linguaggio ma anche il pensiero. Pensiero e linguaggio sono infatti strettamente collegati e si influenzano l'un l'altro. Se da una parte il linguaggio è nato per comunicare, per esprimere il pensiero e ne è dunque una manifestazione, dall'altra lo ha rafforzato facilitandone la consequenzialità logica, la capacità simbolica e di astrazione. Eppure, in un certo senso il linguaggio ci limita: quando nasciamo, infatti, incontriamo una realtà che è già stata pensata, nominata e raggruppata in categorie per noi, e se è vero che tale categorizzazione ci guida e facilita nell'esplorazione del mondo, al contempo esercita una profonda influenza nella visione che ci formeremo di esso.

L'idea che il linguaggio possa plasmare in qualche misura il pensiero dell'uomo è stata ampiamente dibattuta nella prima metà del Novecento in riferimento all'ipotesi di Sapir-Whorf, dal nome dei linguisti Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf. Conosciuta anche come teoria della relatività linguistica, essa sostiene che la lingua di una certa popolazione ne influenzi la visione del mondo ed il modo di vivere; quindi la diversità di culture esistenti deve essere ricondotta alle differenze linguistiche. Whorf scrive: «La nostra analisi della natura segue linee tracciate dalle nostre lingue madri. [...] Noi tagliamo a pezzi la natura, la organizziamo in concetti, e nel farlo le attribuiamo dei significati»; e sono questi significati a condizionare il nostro modo di rapportarci con essa e con gli altri. Un'idea completamente opposta è quella sviluppata negli anni '60 da Noam Chomsky con la sua grammatica generativa o universale, secondo la quale tutte le lingue possiedono la stessa struttura di base e che tali principi grammaticali fondamentali sono innati. Per Chomsky le differenze linguistiche esistono solo ad un livello superficiale e non esercitano un'influenza rilevante sui processi cognitivi dell'uomo.

Esiste anche una versione forte dell'ipotesi di Sapir-Whorf, tendente verso il determinismo linguistico, che afferma che le lingue e la loro grammatica determinino la struttura stessa del pensiero di un popolo; da ciò ne deriva che eventuali modifiche alla grammatica comporterebbero dei cambiamenti nel modo di pensare. Nel film del 2016 "Arrival", diretto da Denis Villeneuve, l'ipotesi di Sapir-Whorf è portata all'estreme conseguenze. La linguista Louise Banks, interpretata da Amy Adams, viene chiamata dall'esercito degli Stati Uniti perchè degli alieni sono improvvisamente apparsi sulla Terra, a bordo di strane astronavi a forma di guscio, e la priorità è riuscire a parlare con loro per scoprire che cosa vogliono e a quale scopo sono venuti. Dato che questi alieni, chiamati eptapodi per via dei sette arti, emettono dei suoni indecifrabili, Louise decide di utilizzare il linguaggio scritto e i gesti per comunicare, scoprendo che anche loro possiedono una particolare forma linguistica scritta.

Louise studia la loro scrittura e capisce che è costituita da frasi palindrome scritte in forma circolare e che tale struttura del linguaggio si rispecchia nel pensiero degli alieni e nel loro modo di concepire il tempo non come un susseguirsi lineare di attimi, ma come un cerchio in cui è possibile spostarsi avanti e indietro a proprio piacimento. Potremmo credere che lo sviluppo di un linguaggio circolare sia la naturale conseguenza del loro modo di pensare, se non fosse che Lousie impara a vedere il suo futuro, e quindi a pensare come gli eptapodi, studiando ed immergendosi nella loro lingua. Infatti essi si riferiscono più volte ad essa come ad un'arma, capace di "aprire il tempo" e proiettare chi la padroneggia nel futuro. Nel film la teoria del determinismo linguistico si manifesta nella sua forma estrema, ossia nella capacità del linguaggio di riprogrammare del tutto la mente umana, fino a modificare i principi che la regolano, come il tempo e lo spazio.

Whorf ha applicato la sua teoria della relatività linguistica a diverse popolazioni, come quella degli indigeni Hopi. Il dibattito che ne scaturì si incentrò, come in Arrival, sul rapporto tra linguaggio, pensiero e tempo: studiando la loro lingua egli postulò che gli Hopi avessero una concezione del tempo diversa da quella dell'europeo medio, e che tale differenza fosse dovuta alla mancanza di forme grammaticali, costruzioni o espressioni che si riferissero direttamente a ciò che noi chiamiamo passato, presente e futuro. La ricerca di Whorf stabilì che gli Hopi non inquadravano gli eventi sotto l'aspetto della temporalità, ossia non li posizionavano nel tempo, bensì li categorizzavano nella classe degli eventi oggettivi, ovvero manifesti e accessibili ai sensi, e soggettivi, cioè esistenti solo nella mente. Il tentativo di Whorf di applicare agli Hopi la propria ipotesi ed i risultati che ottenne furono in realtà ampiamente contestati dagli altri linguisti e, in generale, i tentativi di questo genere non ebbero mai molto successo; i relativisti non sono riusciti a dimostrare inequivocabilmente che il linguaggio e la grammatica influenzano in modo decisivo la visione del mondo di un popolo, nè tantomeno la struttura del pensiero.

Certo la prospettiva è affascinante, si poggia sull'assunto della natura malleabile e potenziale della mente umana, capace di espandersi grazie al linguaggio, come vediamo in Arrival, o di racchiudersi a causa di esso. Un esempio di quest'ultimo tipo è rappresentato nel romanzo di George Orwell "1984" dalla Neolingua, studiata e creata direttamente dal Socing, ossia dal Partito socialista inglese che governa in modo totalitario l'Oceania. Attraverso la sostituzione della Veterolingua con la Neolingua lo scopo è quello di sostituire la vecchia visione del mondo con una nuova forma di pensiero assolutamente fedele al Socing e al Grande fratello, che elimini ogni elemento di sovversione e ribellione. Tutto ciò sarebbe reso possibile da una generale semplificazione lessicale, con conseguente riduzione dell'attività mentale. «[...] la Neolingua non mira ad altro che a ridurre la gamma dei pensieri. Arriveremo a distruggere la possibilità stessa del pensiero-crimine, perchè mancheranno le parole per esprimerlo».

Orwell descrive il cittadino ideale per i regimi totalitari come un essere a mala pena pensante, privo della capacità di formulare opinioni e di presentarsi dei dubbi; il pensiero è ciò che più spaventa il Socing, perchè è per sua natura sovversivo, incontrollabile. Diventa così la principale arma per l'emancipazione e la libertà. Il carattere distopico di 1984 si manifesta anche nella possibilità di entrare e manipolare la mente delle persone, riprogrammarla per renderla docile e mansueta tramite l'eliminazione dei termini pericolosi, delle ambiguità e delle sfumature che rendono la realtà interpretabile e non univoca. «Ortodossia significa non pensare, non avere bisogno di pensare. Ortodossia significa incoscienza». Il Socing va ad agire sul rapporto di interdipendenza e di reciproca influenza che esiste tra pensiero e linguaggio, e dato che è impossibile modificare fino in fondo il pensiero dei cittadini, interviene sul linguaggio: la Neolingua è semplice, il fine è che la comunicazione avvenga in modo basilare e che diventi quasi un processo automatico, inconscio. Quando parliamo o scriviamo il cervello pensa a quello che vuole dire, e scopre nuovi percorsi, nuove idee; più il linguaggio è ricco e più il ventaglio di termini e concetti sarà ampio. Semplificare il linguaggio significa semplificare il pensiero.