L'anello dell'invisibilità - Da Platone a Tolkien

Costui (Gige) era pastore alle dipendenze del principe che governava allora la Lidia. Ora, in seguito a un nubifragio e a una scossa tellurica la terra si squarciò per un certo tratto producendo una voragine nel luogo dove egli pascolava l'armento. A quella vista, pieno di stupore, discese nella voragine e oltre alle meraviglie di cui narra la fiaba scorse un cavallo bronzeo, cavo, provvisto di aperture. Vi si affacciò e vide giacervi dentro un cadavere di proporzioni, a quanto pareva, sovrumane, senza nulla addosso se non un aureo anello alla mano. Glielo prese e se ne tornò fuori.

Gige scoprì che, indossando l'anello e ruotandone il castone, diventava invisibile. Fece alcune prove e poi decise di usare questo formidabile dono a proprio vantaggio: si fece inviare in qualità di messaggero presso il re, ne sedusse la moglie e lo uccise, acquisendo così il potere sul regno di Lidia.

anello

La storia dell'anello di Gige, che si dice abbia ispirato il Signore degli anelli di Tolkien, è raccontata nel secondo libro della Repubblica di Platone. In realtà non ci sono prove a dimostrare che Tolkien conoscesse il racconto di Gige, ma le somiglianze tra le due narrazioni sono notevoli: oltre all'anello dell'invisibilità, infatti, c'è la riflessione intorno alla corruttibilità dell'animo umano e alla tentazione irresistibile di utilizzare l'anello a scopi egoistici, commettendo ingiustizie e cattive azioni. Uno dei temi centrali del Signore degli anelli è proprio l'influenza che il potere malvagio dell'anello esercita sugli uomini, scatenandone gli istinti più bassi e deplorevoli e andando ad agire su una naturale inclinazione all'individualismo e alla disonestà.

Il potere corrosivo dell'anello di Sauron si manifesta, ad esempio, nell'aspetto fisico e nel comportamento di Gollum: fin da subito ha scatenato in lui degli istinti malvagi e animaleschi che, con il passare del tempo, hanno plasmato una sorta di seconda personalità che egli tenterà invano di sopprimere. Anche Frodo, sebbene ne sopporti più degli altri l'influenza, viene sconvolto dal potere dell'anello; alla fine della vicenda lo vediamo tornare alla vita della Contea, senza però ritrovare quella pace tanto agognata durante il lungo viaggio. Deciderà dunque di partire nuovamente; capiamo che non è più lo stesso, che l'anello ha fatto emergere una parte di lui che nè conosceva, nè immaginava di avere ma con cui dovrà imparare a convivere. Nel monologo finale, infatti, recita: «Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita, come fai ad andare avanti, quando nel tuo cuore cominci a capire che non si torna indietro, ci sono cose che il tempo non può accomodare, ferite talmente profonde che lasciano un segno».

La questione dell'invisibilità assume nella Repubblica di Platone dei connotati sotto certi aspetti simili. Il secondo libro è incentrato sulla discussione tra Glaucone e Socrate circa la giustizia e la possibilità che essa possa essere annoverata tra quei beni perseguibili per sè, e non in vista dei vantaggi che ne derivano. Inoltre, Glaucone chiede a Socrate di dimostrare chiaramente la preferibilità della giustizia rispetto all'ingiustizia, e per spronarlo verso questo compito finge di assumere il punto di vista opposto, ossia quello di coloro che ritengono più vantaggiosa l'ingiustizia. Egli, dunque, sostiene che coloro che si comportano in modo giusto lo fanno solo perchè costretti, per evitare di subire una punizione; ma in realtà ritengono che commettere ingiustizia verso il prossimo sia per natura un bene e subirla, ovviamente, un male. Secondo Glaucone, la legge si situa a metà strada tra tale bene e tale male: impedisce di avvantaggiarsi commettendo ingiustizia ma allo stesso tempo mette al riparo dal subirla. In questo senso egli afferma che la legge è uno strumento ideato e tenuto in onore dagli individui più deboli, da coloro che in natura non sono abbastanza forti da riuscire a sopraffare gli altri.

Glaucone porta la storia dell'anello di Gige a sostegno di questa tesi e per dimostrare che se tutti avessero la possibilità di fare qualsiasi cosa desiderino senza essere puniti, se tutti avessero a disposizione un anello dell'invisibilità, ognuno sarebbe ingiusto e tenderebbe a soddisfare la propria sete di potere senza curarsi troppo delle sofferenze altrui. La posizione assunta da Glaucone è dunque fortemente pessimistica riguardo la natura dell'uomo e gli istinti che lo muovono, suggerendo che l'essere umano tende verso il male, lasciandosi guidare da un'innata volontà di sopraffare e soverchiare il prossimo. In questo senso, è assimilabile all'homo homini lupus di Hobbes e alla teoria dell'origine contrattualistica della società che espone nel Leviatano. L'uomo è per Hobbes un essere desiderante e, quindi, costantemente alla ricerca del potere in quanto mezzo per soddisfare il proprio appetito. Nello stato di natura non esiste niente di collettivo tra gli uomini, così come non esiste la proprietà privata; l'unico diritto è quello di tutti su ogni cosa. Tale assenza di regole e di moralità getta ogni individuo in una condizione di perenne timore e aggressività reciproca. Solo tramite la ragione, che lo distingue dal resto del mondo animale, l'uomo si solleva dal terribile stato di natura e capisce che potrà ottenere tranquillità e ordine solo stipulando un patto con cui rinuncia e cede una parte della propria libertà personale al sovrano.

Leviatano

Per Hobbes gli esseri umani possono vivere in armonia gli uni con gli altri solo sottoponendosi ad un potere di tipo coercitivo che imponga il rispetto delle leggi tramite la minaccia dell'uso della forza, poichè le passioni tendono a sopraffare la ragione rendendo l'uomo inaffidabile. Nel dialogo platonico Socrate delinea una soluzione differrente. L'obiettivo è costruire un'anima equilibrata, che non debba essere costretta ad agire giustamente ma che segua i precetti della ragione naturalmente; ciò è per Socrate possibile tramite una corretta educazione (paidéia). L'anima, secondo la tripartizione in razionale, irascibile e conscupiscibile, non tende per natura nè al bene nè al male; sono le influenze dell'ambiente esterno ad alimentarne un aspetto piuttosto che un altro e a rendere l'uomo sordo ai precetti della ragione. Solo un'anima in cui i desideri e gli istinti sono governati dalla ragione può essere considerata un'anima giusta.

Guardando ai giorni nostri, forse esiste una situazione che possa in qualche modo farci immedesimare nella storia di Gige e si tratta dell'anonimato su internet. Secondo Julie Zhuo, infatti, l'interazione in modalità anonima sul Web è ciò che meglio si avvicina all'esperienza dell'invisibilità: l'opportunità di trasgredire le ormai assimilate norme dell'educazione e del rispetto, di vomitare tutto quello che passa per la mente nella sezione commenti di qualche video o post senza subire alcuna conseguenza. Questo genere di comportamento è definito "online disinhibition effect" e sarebbe incentivato, oltre che dall'anonimato, dalla comunicazione asincrona e da un deficit di empatia provocato dall'assenza di espressione facciale. Julie Zhuo ritiene che l'unica realistica possibilità di eliminare il fenomeno consista nell'impedire l'anonimato online; sarebbe infatti inutile aspettarsi un improvviso cambiamento e miglioramento della natura umana. Ma è davvero questa l'ultima alternativa, rassegnarci al fatto che siamo un ammasso di istinti primordiali tenuti a freno dal timore e dalla paura, e pronti a scatenarsi appena se ne presenti l'occasione? La prospettiva non è allettante. Dal mio punto di vista il progetto di un'educazione non solo civica ma anche sentimentale, che insegni a comprendere e gestire le proprie emozioni e a comunicare in modo sano dovrebbe essere considerato e perseguito con più impegno.