LA RAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA NEI MEDIA – Film Disney

Capelli neri come l’ebano, labbra rosse come il sangue e pelle bianca come la neve. Così è come viene presentato il personaggio femminile di Biancaneve, che conosciamo tutti grazie all’adattamento cinematografico operato dalla Disney. Considerando che la favola è stata scritta dai fratelli Grimm nell’800 e che il film d’animazione della Disney risale al 1937, non desta particolare stupore che l’intera vicenda ruoti intorno alla straordinaria bellezza della protagonista (essa scatena la tremenda gelosia della matrigna cattiva che tenterà di farla uccidere, ed attira il salvifico bacio del principe) e che questa sia praticamente la sua unica caratteristica degna di essere raccontata. Come non stupisce neppure che il più forte ed urgente desiderio di Biancaneve fosse di incontrare l’amore («Vorrei/Che venisse amor/Quest’oggi/Da me/Amore/Apparisse a me/Dicesse/Tesor» canta all’inizio del film) per poter essere finalmente salvata dalle fatiche a cui la sottopone la matrigna.

Biancaneve

Sebbene negli ultimi decenni siano stati compiuti notevoli progressi nell’emancipazione femminile, da sempre la narrazione preferita da sottoporre alle giovani donne è stata quella della ricerca, o addirittura della semplice attesa, del principe azzurro. In tali narrazioni non viene dato spazio al personaggio femminile per dimostrare di possedere certe qualità caratteriali e morali, come il coraggio, l’intraprendenza, l’onestà e l’integrità; tanto meno le viene offerta la possibilità di sviluppare conoscenze o capacità in un ambito che non sia quello domestico. Ciò avviene non tanto per una questione propagandistica (anche se ovviamente questo tipo di trasmissione culturale gioca il suo ruolo nell’immaginario delle bambine), ma piuttosto perché rispecchia lo spettro di opportunità che effettivamente la maggior parte delle donne si trovava davanti.

Ne “ Il secondo sesso” Simone de Beauvoir scrive riferendosi alla bambina: «Impara che per essere felice bisogna essere amata; e, per essere amata, bisogna aspettare l’amore. La donna è la Bella addormentata nel bosco, Pelle d’asino, Cenerentola, Biancaneve, colei che riceve e subisce. Nelle canzoni, nelle novelle si vede l’uomo partire alla ventura per trovare la donna; taglia a pezzi i draghi, combatte i giganti; la fanciulla è imprigionata in una torre, in un palazzo, in un giardino, in una caverna, incatenata ad una rupe, in cappi, addormentata: aspetta. […] La massima necessità per la donna consiste nell’incantare un cuore maschile; anche le più intrepide, le più rischiose delle eroine aspirano a questa ricompensa; e nella maggior parte dei casi una sola virtù viene loro chiesta, la bellezza».

Per tutti coloro che sono nati negli anni ‘90, cresciuti a pane e videocassette Disney, non bisogna sottovalutare l’influenza di tali media in un periodo, come quello della prima infanzia, durante il quale vengono gettate le basi per costruire la propria identità di genere. Diversi studi hanno evidenziato come la rappresentazione spesso stereotipata delle principesse Disney, che le bambine tendono ad assumere come modello, possa avere giocato un ruolo nello sviluppo dell’identità femminile e del comportamento sociale. La teoria sociale cognitiva di Bandura, infatti, identifica nel processo di modellizzazione uno dei principali fattori che influenzano la formazione del ruolo di genere, insieme alle esperienze dirette e alla persuasione verbale. Esso consiste nell’osservare il comportamento di figure importanti e significative per la bambina (in primo luogo i genitori, ma anche gli insegnanti, i coetanei e i personaggi dei media) e nel modellare le proprie azioni su quei comportamenti che nota essere efficaci, che portano ad una ricompensa. Il lieto fine, il «E vissero tutti felici e contenti» suggerisce che il modo di essere e di agire adottato dai personaggi è quello corretto, quello che anche lei dovrebbe assumere.

Seguendo una suddivisione compiuta da alcuni ricercatori, la rappresentazione della donna in film quali Biancaneve, Cenerentola (1950) e La bella addormentata nel bosco (1959) apparterrebbe ad una prima fase dei lungometraggi Disney definita “fase domestica”, in cui la protagonista si occupa per lo più della cura della casa ed attende di essere salvata dal principe, che la solleverà dalla sua situazione e la renderà finalmente felice. Sul finire degli anni’80, invece, ha inizio la “fase ribelle”: cercando di stare al passo con i tempi, adesso le principesse Disney incarnano personaggi inquieti, che mal si adattano al ruolo e alla condizione che la società gli ha imposto e tentano quindi di liberarsene. Tra i più rappresentativi di tale cambiamento ci sono La sirenetta, La bella e la bestia, Aladdin e, soprattutto, Mulan. In tutti i casi la giovane donna si sente costretta a vivere una vita che non desidera: Ariel è attirata dal mondo degli umani, la vita sotto il mare non la soddisfa più e cercherà il modo di evadere; lo stesso accade alla principessa Jasmine, che è stanca della vita del palazzo e non vuole essere data in sposa al miglior offerente come se fosse una merce da scambiare.

Nonostante il carattere delle nuove protagoniste sia decisamente più avventuroso ed indipendente, il simbolismo in alcuni di questi cartoni rimane molto forte e significativo. Lo troviamo nel film La sirenetta: l’unica opportunità che viene offerta ad Ariel di realizzare il suo sogno ed entrare a far parte del mondo degli umani consiste nel fare innamorare di sé il principe Eric; ma ancora più degno di nota è il fatto che, per avere tale possibilità, Ariel rinuncia addirittura alla sua voce. Questo è il pegno richiestole da Ursula, che a tal proposito le dice: «Non potrai più parlare, cantare, niente di tutto ciò. Ma avrai sempre la tua bellezza, il tuo bel faccino»; ed ancora «agli uomini le chiacchiere non vanno, si annoiano a sentire i bla bla bla, sulla Terra va così, e le signore fanno in modo di evitare di parlare un po’ di più; ai maschi la conversazione non fa effetto, si innamorano però di colei che sa tacer, la donna un po’ ritrosa troverà un uomo che la conquisterà».

Le sorti di questi personaggi sono ancora fortemente legate all’intreccio amoroso ed il lieto fine per loro consiste sempre nell’unione con il principe. Una narrazione finalmente diversa è quella di Mulan che si traveste da uomo, parte per la guerra e salva la Cina dall’invasione degli Unni, dimostrando di possedere delle qualità che nessuno le aveva mai dato la possibilità di esprimere. In una società in cui l’unico modo di valere qualcosa in quanto donna era essere una brava moglie e donna di casa, e sentendosi inadeguata in questi panni, Mulan rinuncia temporaneamente alla propria femminilità ed in cambio ottiene l’opportunità di trovare se stessa, di testare le proprie capacità. Il finale, tuttavia, ci riporta alla triste realtà: anche se Mulan viene riconosciuta da tutti, anche dall’imperatore, come un’eroina, la vediamo fare ritorno a casa dove verrà raggiunta dal capitano Shang, che presumibilmente le dichiarerà il suo amore; e ci immaginiamo così quale potrà essere il suo futuro. Le sue gesta ci appaiono così come un caso straordinario, che non si sarebbe potuto verificare senza raggirare le regole imposte dalla società, e che non ne cambiano in alcun modo l’assetto; Mulan è riuscita a riscattare se stessa ma non il destino delle donne cinesi.

Come abbiamo visto, la Disney è passata da un immaginario in cui solo i personaggi maschili partivano per l’avventura; solo l’uomo aveva l’opportunità di operare una presa sul mondo, di conquistare qualcosa, di porsi degli obiettivi e raggiungerli con i propri sforzi; la principessa era relegata nella sfera della passività e dell’immanenza. Con l’aprirsi delle opportunità nel mondo reale, anche nei media la donna ha adesso la possibilità di realizzarsi in quanto essere umano, in quanto soggetto, e di cercare di raggiungere una felicità non più imposta, ma liberamente e personalmente pensata. Citando De Beauvoir: «Non si sa bene che cosa significa la parola felicità, e tanto meno quali valori autentici nasconda; non è assolutamente possibile misurare la felicità degli altri ed è troppo facile dichiarare fortunata la situazione che si vuol loro imporre: in particolare, col pretesto che la felicità è immobilità, si dichiarano felici color che vengono condannati ad una esistenza stagnante. Noi non prestiamo fede a tutto ciò. […] Ogni soggetto si pone concretamente come trascendenza attraverso una serie di finalità; esso non attua la propria libertà che in un perpetuo passaggio ad altre libertà; la sola giustificazione dell’esistenza presente è la sua espansione verso un avvenire indefinitamente aperto».