Il Panopticon come metafora della sorveglianza e dell'esercizio del potere

Traducibile dal greco con l'espressione «posto in cui tutto è visibile», il Panopticon è un progetto architettonico ideato dal filosofo utilitarista Jeremy Bentham e formalizzato per la prima volta nel 1787. Sebbene concepito originariamente come carcere, Bentham stesso lo riteneva, nella sua struttura generale, applicabile ad ogni istituzione che necessitasse dell'osservazione e del controllo di un certo numero di persone, e quindi ospedali, scuole, fabbriche. Il progetto del carcere panottico prevedeva un edificio dalla forma circolare con delle celle, disposte sul perimetro della circonferenza, in cui ogni detenuto sarebbe stato rinchiuso e separato dagli altri; andando verso l'interno uno spazio vuoto, intermedio, divideva le celle dalla torre centrale, dimora dell'ispettore. Figura mai visibile agli occhi dei detenuti, grazie alla sua posizione strategica egli potenzialmente riesce a vedere tutti, li sorveglia e parla con loro attraverso dei tubi di comunicazione collegati a ciascuna cella; il timore da incutere nei detenuti è quasi quello del divino, dell'essere onniscente dinanzi al quale l'uomo non ha segreti, è nudo.

I principi su cui Bentham progettò il funzionamento del Panopticon erano quelli dell'utilitarismo che, sotto molti punti di vista, apportavano un rilevante miglioramento alle condizioni di vita dei carcerati dell'epoca. Tramite il concetto di algebra morale, egli riteneva l'utilità come qualcosa di misurabile e di perseguibile anche dalla giustizia tramite una sorta di calcolo edonistico mirante a ridurre la sofferenza e aumentare la felicità di tutti gli individui. Quindi infliggere una punizione dolorosa e crudele ai condannati sarebbe stato inutile, poichè avrebbe prodotto solo sofferenza; l'unico aspetto della punizione che andava perseguito era la sua funzione di deterrente per la collettività. All'interno del carcere panottico non erano contemplate azioni brutali sul corpo: le punizioni fisiche erano proibite ed erano previste sanzioni per l'ispettore nei casi di detenuti morti in modo sospetto. D'altro canto questi ultimi venivano costretti alla solitudine all'interno delle loro celle, ritenuta fondamentale non solo per evitare disordini e ribellioni, ma anche per favorire la rieducazione tramite la riflessione sui propri crimini. L'unico modo per sfuggire alla solitudine sarebbe stato lavorare; solo così si sarebbero potute incontrare altre persone e avere diritto ad un pasto migliore.

Il Panopticon ebbe molto successo tra i pensatori successivi a Bentham, non tanto sul versante applicativo quanto su quello teorico. Tra tutti il filosofo Michel Foucault ne fece il simbolo di una ridefinizione dello stile penale, della sorveglianza e dei modi in cui viene esercitato il potere avvenuta a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. In "Sorvegliare e Punire" egli descrive la spettacolarizzazione della punizione che caratterizzava i processi medievali, con il supplizio fisico inflitto al condannato a suggerire un controllo ed un potere esercitato soprattutto sul corpo. La punizione era violenta, spesso più violenta del crimine commesso e veniva eseguita sotto gli occhi di tutti, al pari di una funzione pubblica. Nel corso dell'epoca moderna lo stile penale vede una nuova fase in cui il momento della punizione diventa la parte da oscurare, da nascondere. Il giudice che decide la pena e che condanna vuole adesso distaccarsi dal processo punitivo, separarsi dalla sofferenza inflitta; intende con il suo giudizio rieducare e guarire.

Quel rito che concludeva il crimine viene sospettato di mantenere con questo losche parentele: di eguagliarlo, se non sorpassarlo, nell'essere selvaggio, di abituare gli spettatori a una ferocia da cui si voleva invece distoglierli, [...] di far rassomigliare il boia a un criminale e i giudici ad assassini, di invertire all'ultimo momento i ruoli, di fare del suppliziato un oggetto di pietà e di ammirazione.

La presa sul corpo da parte dello Stato comincia ad allentarsi e chi commette un crimine non è più punito con il dolore fisico ma con la perdita di un bene o di un diritto. Ci si rivolge sempre di più verso l'anima del detenuto, e idealmente verso la guarigione e la reintegrazione. Il Panopticon funziona anche come metafora di un nuovo tipo di sorveglianza e di esercizio del potere che si manifesta nella società contemporanea. Quest'ultimo, secondo Foucault, non è più basato sul possesso e sull'utilizzo brutale dei corpi, ma sul disciplinamento dell'individuo, sul suo sfruttamento economico in quanto forza produttiva, su un'osservazione e un controllo che ormai accettiamo senza opporre resistenza.

La disciplina facilita l'esercizio del potere, e l'incasellamento, l'ordine favoriscono un controllo più efficiente. All'interno del Panopticon la disciplina è garantita sia dal fatto che gli individui sono da soli all'interno delle celle e non possono comunicare con gli altri, ma soprattutto dall'occhio aperto e pervasivo dell'ispettore, che è sempre presente pur non avendo bisogno di mostrarsi: la semplice consapevolezza della sua presenza inibisce i comportamenti indesiderati. Il potere è in questo modo deindividualizzato e automatizzato; il non sentirsi mai soli agisce da controllore e rende il potere non esercitato dall'alto, ma incessantemente e sottilmente presente. Anche secondo Foucault la struttura e i principi del Panopticon lo rendono applicabile a diversi contesti: dalle scuole per migliorare l'istruzione degli scolari, agli ospedali per una cura più attenta dei malati, alle fabbriche per la sorveglianza sul lavoro degli operai; l'effetto sarebbe quello di aumentare la produzione e l'efficienza. Questo tipo di potere, infatti, ha l'obbiettivo di modificare profondamente il comportamento e le abitudini dei soggetti, di ricondurli ad azioni standardizzate e quindi più controllabili. La disciplina intesa in questo senso rende il potere meno visibile, più veloce e leggero; siamo molto lontani dalla sua eclatante manifestazione che caratterizzava i processi medievali.

Foucault scriveva nel 1975, e da allora i cambiamenti offerti dalle nuove tecnologie hanno comportato un'ulteriore modificazione dei meccanismi e degli scopi della sorveglianza. Nell'epoca postmoderna, infatti, il controllo e il potere non sono tanto rivolti a plasmare degli individui produttivi quanto dei perfetti consumatori. In "Sesto Potere" Zygmunt Bauman e David Lyon hanno analizzato questo aspetto nel contesto di quella che Bauman ha definito "modernità liquida", ossia caratterizzata da strutture che si scompongono e ricompongono velocemente, in modo incerto e fluido, dalla mancanza di quei punti di riferimento che un tempo erano rappresentati dallo Stato, dai partiti, dalla religione o dalle ideologie. L'individuo oggi è essenzialmente solo, in balia di poteri e meccanismi sovranazionali, trascinato nella stessa corrente consumistica da cui sono trasportati tutti gli altri, trovando sempre più difficile stabilire relazioni stabili e significative. L'analisi intorno ai social network è d'obbligo all'interno di una riflessione di questo tipo, ancora una volta rendendo utile e fruttuosa la metafora del Panopticon. La questione della visibilità è alla base del funzionamento di social come Facebook e Instagram, i quali hanno apportato un cambio di paradigma riguardo a ciò che è pubblico e privato.

Ora che il vecchio incubo panottico di "non essere mai soli" ha ceduto il posto alla speranza "di non essere mai più soli" (abbandonati, ignorati e negletti, bocciati ed esclusi), la gioia di essere notati ha la meglio sulla paura di essere svelati.

Secondo Bauman, la struttura del Panopticon è troppo rigida per poter essere universalmente applicata alla società liquida; essa viene oggi relegata esclusivamente a quelle istituzioni che si occupano di persone emarginate, escluse, per le quali il progetto non è tanto la rieducazione o il reinserimento in società, quanto la semplice reclusione e il controllo sicuro; si parla quindi di carceri, ospedali psichiatrici etc. Noi viviamo invece in un mondo post-panottico, in cui l'imposizione, il controllo e la sorveglianza autoritaria sono stati sostituiti dalla seduzione dell'intrattenimento e del consumo. L'individuo non deve più essere obbligato a comportarsi in un determinato modo, si è sganciato dalla sorveglianza dell'ispettore; adesso è sorvegliato da sé stesso, dalla volontà di sentirsi integrato nella società, di essere apprezzato e riconosciuto. L'individuo arriva così ad autodisciplinarsi: tramite la creazione delle giuste condizioni ambientali, vengono innescati necessità e bisogni nuovi che concorreranno a plasmare il suo comportamento.

Questo aspetto è ben spiegato dal filosofo Byung-Chul Han nel libro intitolato "Nello sciame", in cui sottolinea come all'interno del panottico digitale il controllo sugli utenti sia mantenuto favorendo ed incentivando una comunicazione costante, al contrario di quanto accadeva nella struttura di Bentham, in cui le interazioni tra le persone erano scoraggiate. La connessione globale sarebbe infatti livellante, nel senso che tende ad appiattire la diversità e a produrre piuttosto conformità ad un determinato standard, in un meccanismo all'interno del quale è come se ciascuno sorvegliasse tutti gli altri. Il soggetto diventa produttore di informazioni e dati personali che vengono monetizzati e commercializzati. La seduzione messa in atto per arrivare a questo obiettivo gioca su un'illusione di libertà, una libertà che genera in realtà un'auto-costrizione: il soggetto si forza alla prestazione e all'ottimizzazione, e si forza tanto meglio in quanto non c'è nessun agente esterno ad obbligarlo. «Solo lo sfruttamento della libertà produce il massimo rendimento». Tramite un meccanismo di "auto-illuminazione" siamo ben contenti di fornire informazioni al nostro riguardo, di condividere foto e spostamenti. Ciò a cui si mira è creare il bisogno di esibizione e di condivisione, rendendolo una pulsione interiore.