Il dono come fatto sociale totale - Potlatch e Kula

Se pensiamo all'azione di donare e al valore che noi le attribuiamo oggi, potremmo dire che non ne ha uno specifico, se non quello di mostrare la gentilezza e il rispetto delle norme sociali: è vero che nel comprare un regalo interviene la volontà e il pensiero, eppure nella maggior parte dei casi si dona per convenzione e in particolari occorrenze. Ci sono state delle società, invece, in cui il momento del dono racchiudeva e simboleggiava un intero sistema di usanze, precetti morali e credenze religiose; parteciparvi era dunque importante, necessario e funzionale all'inserimento stesso nella società. In sociologia l'individualismo metodologico è un paradigma secondo cui la società si caratterizza come un insieme di individui che agiscono mossi da spinte soggettive, calcoli e interessi personali; a tale posizione si contrappone il paradigma collettivista, promosso principalmente da Émile Durkheim, il quale afferma che la società non si riduce alla somma degli individui e delle loro relazioni, bensì è un'entità autonoma che precede e determina la vita delle persone che ne fanno parte. Ogni società è caratterizzata da una propria cultura, da usi e costumi, riti e cerimonie; l'individuo, cresciuto all'interno di questo sistema che scoraggia le spinte eversive, ne viene plasmato e non può che sottomettervisi. Sostenere, tuttavia, che è la società a determinare l'individuo e le sue azioni pone il probelma della sua origine: essa non è forse stata creata dagli individui, proprio da quell'iniziativa personale che viene negata? Una possibilità di uscire dall'impasse è stata avanzata da Alain Caillé con il suo terzo paradigma, anche detto il paradigma del dono: quest'ultimo, implicando un'obbligazione reciproca e il riconoscimento dell'altro, potrebbe essere l'elemento che ha permesso all'essere umano isolato di costituirsi in società.

Caillé elabora la propria teoria traendo ispirazione dal «Saggio sul dono» di Marcel Mauss, nipote e allievo di Durkheim, in cui l'autore si proponeva di dimostrare, attraverso l'analisi dell'elemento del dono in alcune società arcaiche, che in esse lo scambio non poteva essere inserito nel contesto di una semplice economia del baratto, antecedente a quella monetaria. Secondo Mauss nelle società primitive i rapporti economici non erano tutti riducibili allo scambio di beni e prodotti sulla base del bisogno, bensì talvolta trascendevano il mero aspetto economico andando a simboleggiare uno spettro più ampio di esigenze. Questo perché, in primo luogo, gli individui che si relazionavano non rappresentavano unicamente se stessi ma un'entità collettiva, che poteva essere la famiglia o la tribù. Inoltre il momento dello scambio era spesso solenne, simile ad un rituale, e rientravano tra i beni scambiati non solo gli oggetti e i generi alimentari ma anche favori, feste, banchetti e donne. Mauss lo definì il sistema delle prestazioni totali, ed in tale sistema il dono assumeva il valore di un fatto sociale totale in quanto investiva ogni aspetto della vita in società: poteva servire a costruire o rafforzare relazioni commerciali, a stringere alleanze o a stabilire gerarchie sociali.

Uno degli esempi riportati da Mauss è la cerimonia Kula, descritta dall'antropologo Bronislaw Malinowski in «Argonauti del Pacifico occidentale»: esso è un sistema di scambio commerciale di natura intertribale che si svolgeva nell'arcipelago delle Isole Trobriand, in Papua Nuova Guinea. Il termine "Kula" significa circolo e si riferisce sia alla particolare conformazione dell'arcipelago, che va a formare una sorta di anello, sia al movimento circolare che caratterizzava il commercio (Kula ring): coloro che partecipavano si spostavano di isola in isola a bordo di canoe costruite appositamente e la direzione era dettata dal tipo di beni che si volevano donare. Quest'ultimi erano principalmente di due tipi: i mwali, bracciali ricavati da conchiglie bianche, dovevano muoversi in senso antiorario; i soulava, collane di conghiglie rosse, in senso orario. Come si nota, questi due oggetti costituiscono degli ornamenti, non hanno alcun utilizzo pratico, e ciò dimostra che lo scambio di beni su cui si basava la cerimonia Kula non era dettato dalla necessità o dal bisogno; possedeva invece una valenza sociale e magico-religiosa.

Il Kula di mwali e soulava era di ordine nobile, in quanto vi partecipavano solo i capi delle tribù e serviva a stringere alleanze e relazioni commerciali; perciò il dono ricevuto aveva il valore di un'obbligazione, ossia doveva essere ricambiato per poter mantenere o iniziare il rapporto. Lo scambio aveva anche una connotazione magico-religiosa e veniva eseguito come una sorta di rituale.

La stessa donazione assume forme molto solenni, la cosa ricevuta viene disprezzata, si diffida di essa, la si prende solo un istante dopo che è stata gettata ai piedi; il donatore ostenta una modestia esagerata: dopo avere portato solennemente, e al suono di una buccina, il suo dono, si scusa di offrire solo gli avanzi e getta ai piedi del rivale e compagno la cosa donata. Tuttavia, la buccina e l’araldo proclamano a tutti la solennità del trasferimento. Si cerca di dimostrare con tutto ciò liberalità, libertà, autonomia e, nello stesso tempo, grandezza. Eppure agiscono, in fondo, meccanismi obbligatori, anzi meccanismi obbligatori attraverso le cose.

La circolazione di mwala e soulava all'interno del Kula ring era incessante, ed era consigliato non tenerli troppo a lungo con sé, nonostante la gioia e il prestigio che procuravano. D'altronde l'intento che muoveva la donazione non consisteva nel soddisfare i bisogni e le necessità dell'altro, e neppure nel garantirgli il possesso di qualcosa di prezioso; l'oggetto veniva donato per essere a sua volta trasmesso ad un terzo. L'alleanza veniva stretta sulla base dell'obbligazione reciproca che il dono comporta, e quindi nella disponibilità a riconoscere l'altro e a rispettarlo nella sua grandezza ricevendo i suoi doni ed essendo capaci di ricambiare. Allora cosa avevano di speciale quegli oggetti, in cosa consisteva il loro valore e la felicità con cui venivano ricevuti? Secondo Mauss non si può parlare di veri e propri oggetti sacri, piuttosto gli abitanti delle isole Trobriand gli attribuivano una sorta di potere magico: chi li possedeva trovava conforto nell'averli con sé, nel toccarli; inoltre ognuno di essi aveva un nome e una storia, e quindi un valore sentimentale e storico. Secondo Mauss l'analisi della cerimonia Kula mostra chiaramente un tratto caratteristico delle società arcaiche e che permette allo scambio di doni di costituirsi come un fatto sociale totale, ossia la mancanza di una chiara separazione tra oggetti e persone: gli oggetti che venivano scambiati possedevano una forte valenza simbolica, poiché rappresentavano la famiglia o la tribù con il suo onore, la sua grandezza e ricchezza.

Questo aspetto è ancora più accentuato nel Potlatch, una cerimonia praticata sia dalle tribù del Nord-ovest americano che da alcune popolazioni polinesiane. Secondo Mauss quest'ultimo rientra nel genere delle prestazioni totali di tipo agonistico, in cui l'offerta di cibo, banchetti, feste e ogni altro tipo di bene è mossa dalla volontà di rivaleggiare in grandezza con le famiglie e tribù avversarie. Il Potlatch, che significa letteralmente "dare", veniva organizzato in inverno da un membro della tribù, il quale invitava i propri familiari e delle persone appartenenti ad altri villaggi per offrirgli tutto il cibo e i beni accumulati durante l'anno. La ricchezza del dono e la noncuranza con cui coloro che organizzavano il Potlatch si liberavano dei propri averi, arrivando nelle forme più estreme a distruggerli davanti agli invitati, era funzionale all'acquisizione di autorità e posizione nella gerarchia sociale. Per partecipare al Potlatch erano due gli obblighi fondamentali da seguire: da una parte ricambiare sempre i doni ricevuti con un'offerta possibilmente maggiore, dall'altra accettare sempre il Potlatch che veniva offerto; rifiutarlo significava ammettere di avere paura dell'avversario e di non essere in grado di ricambiare. Il Potlatch è, dunque, definibile come un'attività economica che prevede l'accumulo di ricchezze non per il possesso, ma per il dono, con il fine di acquisire prestigio.

Il Potlatch venne probito negli Stati Uniti e in Canada nel 1884 in quanto ritenuto dalle autorità un inutile spreco di beni; e tuttavia è possibile trovarne delle tracce, seppure camuffate, anche nell'attuale sistema economico e sociale. Il Potlatch, infatti, deve essere concepito come una prestazione caratterizzata dalla perdita e dal dispendio, ma che agisce simbolicamente andando a costituire le relazioni sociali tra gli individui. In «La parte maledetta» lo studioso francese Georges Bataille esamina il Potlatch come esempio di una pratica in cui la dissipazione (depénse) improduttiva e l'ostentazione delle ricchezza, che oggi si manifesta principalmente nel lusso, diventano i principi di un'economia dell'eccesso e dello spreco piuttosto che dell'utilità e della conservazione. Tuttavia è bene precisare che la dilapidazione delle risorse non è fine a se stessa ma si trasforma in acquisizione di potere.

[...] un sovrappiù di risorse di cui le società dispongono in modo costante, in certi luoghi, in certi momenti, non può essere oggetto di una piena appropriazione (non se ne può fare un impego utile, non lo si può impiegare nella crescita delle forze produttive), ma la dilapidazione di questo sovrappiù diventa essa stessa oggetto di appropriazione.

Nel Potlatch e nel lusso, secondo Bataille, viene alla luce una contraddizione fondamentale: attraverso il disprezzo dell'utilità dei beni che vengono dilapidati il soggetto scopre l'ambiguità della propria esistenza, poiché quei beni gli sono utili proprio nella loro dilapidazione. La negazione dell'impiego servile dei beni non trova così compimento. L'ammirazione generale nei confronti di una vita che può permettersi lo spreco diventa quindi l'ammirazione per una vita che ha bisogno di sprecare per mantenere se stessa.