I neuroni specchio - La scoperta e le implicazioni

Nella sua "Poetica" Aristotele definì l'uomo come l'animale in cui l'attività della mimesi è più sviluppata, connaturata fin dall'infanzia e necessaria per apprendere le cose fondamentali della vita. In effetti, l'apprendimento umano è basato in gran parte sull'imitazione: soprattutto durante i primi anni, quando il linguaggio non è ancora sviluppato, l'osservazione e la riproduzione dei movimenti dei genitori sono indispensabili. Successivamente, durante la fase dell'adolescenza, la tendenza è quella di emulare i comportamenti e i modi di fare dei propri amici e coetanei, così da rafforzare l'adesione al gruppo. Il gioco imitativo ci accompagna in realtà per tutta la vita, e se talvolta vi partecipiamo in modo consapevole e volontario, altre volte si attiva automaticamente: pensiamo banalmente alla contagiosità di una risata e di uno sbadiglio, o a quanto il contatto prolungato con certe persone ce ne faccia assumere le medesime espressioni facciali e verbali; in alcune coppie di lunga data, ad esempio, è possibile riscontrare una forte somiglianza non solo nel modo di parlare, di camminare e di ridere, ma anche nella stessa fisionomia. In questi casi si tratta di un meccanismo inconsapevole, che sembra però avere un'origine e uno scopo ben precisi, soprattutto alla luce della scoperta dei neuroni specchio da parte di un gruppo di ricercatori dell'Università di Parma, guidato dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti.

Tra gli anni '80 e '90 tale gruppo stava esaminando una precisa area della corteccia cerebrale premotoria, l'area F5, situata nel lobo frontale e preposta nello specifico ai movimenti delle mani in azioni quali afferrare e manipolare degli oggetti, oltre che alle interazioni tra bocca e mano. Tradizionalmente, e per gran parte del XX secolo, la concezione predominante relativa al cervello era quella di un organo suddiviso in tre aree distinte, ognuna dedicata ad una particolare funzione: percettiva, cognitiva (o associativa) e motoria. Secondo tale idea, l'attività cerebrale doveva svolgersi in modo seriale: l'informazione parte dall'area percettiva, viene poi integrata in quella associativa e, infine, genera movimento in quella motoria. L'unica funzione che veniva attribuita ai neuroni delle aree motorie era, dunque, quella di attivarsi per produrre un movimento del corpo; mai si sarebbero aspettati che tali neuroni potessero assumere anche una funzione percettiva o che, in generale, potessero attivarsi senza dar luogo ad alcun movimento.

Fu proprio questa la scoperta avvenuta nel laboratorio di Parma, che rappresentò in realtà un caso di serendipità. Infatti essa si presentò casualmente, tanto che gli stessi scienziati faticarono a ricostruirne le precise circostanze. Quello che sappiamo è che il laboratorio era in un momento di pausa, che una scimmia sedeva ferma sulla sedia da laboratorio, con degli elettrodi impiantati nell'area F5, pronta per essere sottoposta agli esperimenti. Nel frattempo uno dei ricercatori si aggirava per il laboratorio, e quando si trovò a muovere il braccio per prendere un oggetto sentì il rumore della scarica neuronale, ad indicare che i neuroni dell'area F5 della scimmia avevano sparato, ossia si erano attivati. Stando a quanto si pensava fino a quel momento, tali neuroni avrebbero dovuto attivarsi solo nel caso in cui la scimmia avesse dovuto compiere un'azione con la mano; quello che avvenne sembrava invece suggerire che vi fossero dei neuroni capaci di attivarsi anche alla vista di quella stessa azione compiuta da qualcun altro. Furono chiamati neuroni specchio per la loro capacità di rispecchiare internamente i movimenti altrui.

La scoperta scatenò il clamore all'interno della comunità scientifica internazionale, tanto che numerosi studiosi le attribuirono una valenza rivoluzionaria. Il neuroscienziato V.S. Ramachandran, ad esempio, affermò che «i neuroni specchio faranno per la psicologia quello che il DNA ha fatto per la biologia: forniranno una struttura unificante e aiuteranno a spiegare molte abilità mentali che fino a questo momento sono rimaste misteriose». Vediamo perchè i neuroni specchio suscitarono tanto interesse e se tali aspettative sono state o meno appagate. Per iniziare, all'interno dell'area F5 fu rilevata una presenza di circa il 20% di neuroni specchio, quindi non tutti i neuroni presenti in quest'area possiedono tale capacità; inoltre, in esperimenti successivi, fu dimostrato che alcuni di essi possono attivarsi anche alla presenza di un rumore che alluda o sia correlato ad un atto motorio finalizzato (il suono di una nocciolina spezzata, ad esempio). Una delle prime ipotesi avanzate fu che i neuroni specchio siano alla base della comprensione del comportamento altrui, o per lo meno delle intenzioni e degli scopi sottesi ai loro movimenti.

L'attivazione dei neuroni specchio, infatti, può essere interpretata come la simulazione interna di un movimento che viene compiuto da qualcun altro, con lo scopo di riconoscerlo collegandolo alla propria memoria ed esperienza motoria. Saper riconoscere le azioni degli altri non è una capacità fine a sè stessa, bensì, unita alla comprensione delle intenzioni e del contesto, ci permette di interpretare correttamente il comportamento altrui. L'azione "prendere il coltello da cucina", ad esempio, può essere avvertita come innocua in un certo contesto e pericolosa in un altro. Gli scienziati si sono dunque chiesti se i neuroni specchio siano capaci di discriminare le azioni sulla base dell'intenzione o se la loro attivazione si basi esclusivamente sull'esecuzione dell'atto motorio in sè. In un famoso esperimento è stato dimostrato non solo che i neuroni specchio riescono a riconoscere un'azione anche se questa non viene vista nella sua completezza, ma anche che sparano esclusivamente quando collegano l'azione ad uno scopo, mentre non lo fanno nei casi di azioni mimate. L'esperimento si basava sull'oscurare la parte finale del movimento: posizionarono un'arancia su un tavolo mostrandola alla scimmia, e successivamento coprirono il tavolo con una tenda; una persona doveva poi allungare la mano dietro la tenda nel gesto di afferrare il cibo. In tal modo la scimmia non aveva la possibilità di vedere la mano prendere l'arancia. Tuttavia il 50% dei neuroni specchio si attivò ugualmente. In un'altra condizione il cibo non era presente, e veniva mostrato alla scimmia che il tavolo era vuoto; in questo caso i neuroni specchio non spararono quando la persona allungò la mano mimando l'azione di afferrare l'arancia.

Sono stati condotti altri interessanti esperimenti per dimostrare il collegamento tra neuroni specchio ed intenzioni, resi più semplici dalle moderne tecniche di neuroimmagine come la Risonanza magnetica funzionale (fMRI) o la Tomografia ad emissione di positroni (PET), che permettono di visualizzare l'attività di alcune aree cerebrali in risposta a dei compiti specifici. In uno di questi esperimenti, messo a punto da M. Iacoboni, i soggetti dovevano guardare una medesima azione, ossia afferrare una tazza da tè, in tre diverse situazioni:

  1. senza alcun contesto;
  2. con una tavola apparecchiata, che suggerisce una colazione da cominciare;
  3. con una tavola sparecchiata, che suggerisce una colazione terminata e da sparecchiare.

Fu rilevato che i neuroni specchio rispondevano in modo differente ad ogni situazione: erano poco attivi alla vista della prima scena, un po' più attivi per la terza e molto attivi per la seconda. Questo perchè l'intenzione associata all'azione del mangiare o del bere è più pregnante rispetto a quella dell'afferrare la tazza per metterla a lavare, ad esempio. Ciò che ne deduce Iacoboni nel suo libro "I neuroni specchio" è che noi comprendiamo le intenzioni e gli stati mentali degli altri riproducendoli nel nostro cervello, facendoli in qualche modo nostri.

Ciò ha fatto emergere una concezione del corpo completamente differente: se per molto tempo le funzioni cognitive sono state pensate in termini di calcolo, elaborazione e manipolazione di simboli sulla base del parallelismo mente-computer, con il corpo a fungere esclusivamente da dispositivo di output, adesso si fa largo l'idea per cui i processi mentali siano in realtà strettamente collegati e caratterizzati dall'esperienza corporea, sia percettiva che motoria. La teoria della "cognizione incarnata", infatti, assume che il modo in cui il nostro corpo interagisce con l'ambiente esterno sia determinante per le capacità cognitive; il sistema motorio, in particolare, non sarebbe più un semplice accessorio della vita mentale ma, sulla base della scoperta del funzionamento dei neuroni specchio, si rivelerebbe fondamentale per la vita sociale, per la comunicazione e, come è stato più volte ipotizzato, per capacità complesse quali l'empatia.

Il primo ad ipotizzare un collegamento tra neuroni specchio ed empatia fu il neuroscienziato Vittorio Gallese con la sua teoria della simulazione incarnata. L'empatia, dal greco en-pathos, viene definita come la capacità di mettersi nei panni dell'altro, letteralmente di sentire dentro la sua stessa sofferenza e, quindi, di stabilire un contatto, una comprensione profonda. Diversi studi hanno dimostrato che la capacità di comprendere le emozioni altrui è collegata ad alcune aree cerebrali in cui vi sono dei neuroni con proprietà specchio. Vedendo una persona che prova disgusto, ad esempio, si attiveranno le stesse aree cerebrali che si attivano quando io provo disgusto; lo stesso vale per altre emozioni quali la tristezza, l'allegria, il dolore. Secondo l'interpretazione di Gallese, questo significa che internamente vengono riprodotti gli stessi meccanismi neuronali, e che ciò permette di condividere il colore emotivo dello stato mentale altrui, garantendo l'immedesimazione ed una consonanza intenzionale.

In conclusione, nonostante le audaci e suggestive ipotesi, molti scienziati hanno smorzato le iniziali aspettative affermando che non ci sono prove ad avvalorare il ruolo indispensabile dei neuroni specchio in meccanismi quali il riconoscimento del comportamento altrui, l'imitazione o l'empatia. Sebbene sia stato dimostrato un loro coinvolgimento nella comprensione di gesti semplici e finalizzati, ciò non significa che bastino da soli a spiegare le dinamiche alla base dei rapporti interpersonali. Essi infatti non operano in modo isolato, ma all'interno di sistemi neurali complessi in continua evoluzione a partire dalla nascita. Quello che sembra emergere dai numerosi studi è che i neuroni specchio agiscano ad un livello percettivo molto basso: sono sicuramente implicati nella discriminazione dei movimenti del corpo, mentre per quanto riguarda il riconoscimento delle intenzioni altrui il loro contributo deve essere considerato in relazione a dei sistemi funzionali complessi.